relazione UC

 

“Gli   edifici   accompagnano   l’umanità   fin

dalla sua preistoria, molte forme d’arte si

sono generate e poi sono morte… Ma il 

bisogno   dell’uomo   di   una   dimora   è

ininterrotto.     L’architettura   non   ha   mai

conosciuto pause”( Walter Benjamin).

La Persona_ Lo Spazio_ Il Tempo

Ho figlie, fratel i, nipoti, cantieri ed aspirazioni in diverse città.   Lavoro da sempre ad

una soluzione abitativa adatta alle nuove esigenze (che sono anche le mie), per

conciliare l’attività con il piacere, e per attività intendo sia il lavoro che crescere le mie

figlie, soddisfare i bisogni quotidiani di tutti noi, leggere, andare a teatro.  Con il piacere

intendo: capire, sognare, progettare, coccolarmi le figlie, fare il pane, il cheese cake,

andare in libreria, ascoltare musica, fare l’amore, vedere gli amici, e i miei amici sono

sparsi in tutta l’Europa, e non solo.

 Ho sempre abitato e lavorato nel o stesso luogo. In questa nostra frenetica società – che

con la “furia” di vivere, intensificando le attività per unità di tempo crede di prolungarne la

durata   –   privilegio   (gabbia)   di   certe   professioni   è   credere   che   il   lavoro   ed   il   piacere

coincidano   in   una   unica   frenesia,   ma   anche   in   un   unico   orgasmo   adrenalinico.   La

frammistione   del a   telefonata   “importante”   con   la   rimestata   del   ragù,   l’organizzare

programmi di lavoro affettando peperoni, hanno su di me un terribile  fascino, sanno di

trasgressione, eludono quel bisogno di “serietà professionale “ a cui sono allergica.  Un

“delirio di onnipotenza” mi inchioda a desideri molteplici, ad una incapacità di

rinunciare a ruoli; incombenze e l’oggettiva limitazione spazio temporale mi

hanno portato a stendere un progetto, ma in realtà ho fatto un sogno che ha radici

profonde.

Arte & Architettura nella cultura contemporanea

Nel e culture occidentali, la procreazione non è più sinonimo di forza, potere, prestigio, i

sessi si combattono, il futuro non sono più i figli, ma noi stessi.  La tecnica  rende

possibile   quello   che   per   natura   è   impossibile:   fecondazione   artificiale,   congelamento 

degli embrioni, trapianto degli organi, cambiamento di genere, cellule staminali in grado

di   ricreare   tessuti,   pratiche   di   rianimazione.   La   genetica   può   predire   con   buona 

approssimazione l’insorgenza ineluttabile di malattie, fino a quel limite che sottrae agli 

uomini l’imprevedibilità della loro morte (Umberto Galimberti).  Chi di noi non accarezza

più o meno consciamente la speranza che quel ’ultimo passetto del a scienza avvenga

prima del a nostra morte. Nel campo del ’arte e del ’architettura questo ha avuto ed ha un

significato estremamente importante.

Brunelleschi costruiva “per sempre” e noi no.

Oggi l’età media di un edificio a Tokyo e di 35/40 anni.  Nessun Renzo Piano,

Jean Nouvel, Rem Koolhaas, o Frank O. Ghery, si può il udere che le sue opere possano

sopravvivergli. Non più Maestri ma Stars affidano ai mezzi tecnologici, la conoscenza

universale del a loro architettura, la loro memoria per i posteri e la fama di sé su tutto il

pianeta.  

Dalla “Merda d’artista” di Piero Manzoni, alla Body Art, le opere d’arte, come quel e di

architettura,  hanno smesso di rappresentarci per il futuro, di rappresentare il

nostro bisogno di eternità.

Nel ’epoca   del a   tecnica,   del a   massificazione,   del a   globalizzazione,   del a   rete,   del a

democrazia,   la   vera   e   più   significativa                       caratteristica     dell’opera   d’arte

contemporanea è nell’irrilevanza della sua durabilità.   Mentre la riproducibilità

tecnica  del ’opera   d’arte   ne   permette   la   documentazione,   la   memoria,   la   durata   nel

tempo.

Se artisti politicamente corretti come Amar Kanwar o Maurizio Cattelan, affidano la loro

con-passione e poetica a mezzi non-materici, “deperibili” come il supporto video o la

cera , forse siamo entrati in un’ epoca in cui l’arte e l’architettura hanno funzioni nuove

nel e società, pur continuando a rappresentarne le speranze, le ossessioni, i deliri.

Nell’architettura contemporanea l’uomo ha smesso di copiare la natura, di

riplasmarla,  di spostarne gli elementi per una loro armonica ricomposizione che ha

portato a quel a concentrazione di poesia che sono le architetture sovrapposte dei nostri

centri   storici.     Le   costruzioni   erano   “per   sempre”,   le   col ine   senesi,   per   esempio,

accoglievano gli edifici fatte del a loro stessa terra, in una mutazione leggera di forma, ma

non di sapore, odore, tessitura di materiale e rappresentando un prolungamento, una

“elaborazione” del territorio.

Non è più possibile continuare a “plasmare la terra”,  aprendo enormi ferite,

contro ogni logica ambientalista,  per soddisfare mercati sproporzionati di pietra

ed argilla  in un concetto estraneo alla cultura contemporanea e quindi, di copia e di

falso fino  all’orrore del cemento armato  senza  più  nessuna  poesia,  ma  con  una

certezza: la creazione di milioni di metri cubi di detriti, macerie, che -sia  per il veloce turn-

over del e funzioni di fronte alla  “rigidità” di questo costruito, sia  per la  facilità e velocità

del a sua  decomposizione- stanno distruggendo e  mangiando ettari ed ettari di

territorio e di patrimonio mondiale di natura, cultura, bel ezza, senza raggiungere il

senso di “immortalità”.

L’architetto   non   può   più   “rimodel are”   il   territorio:   da   costruttore   diventa   designer

(creatore), progetta, inventa forme, usa i materiali da lui prodotti, non cerca di lasciare

segni “infiniti” sul terreno, se non inventandolo (isole, ponti etc.), cerca forme costruibili e

ricomponibili e riconvertibili per affidarvi funzioni mutevoli e temporanee per la Sua lunga

e reinventabile esistenza, fino alla ricerca di una mobilità  e una riconversione costante.

La Citta’_ Il Tempo_ Lo Spazio

L’era     post   moderna   è   caratterizzata               da   uno   stato   permanente  di   mobilità,

spostarsi non è più occasionale e aumenta parallelamente al tasso di crescita economico.

Le nostre società  non possono più definirsi esclusivamente stanziali.

Dal 23 Maggio 2007        la popolazione urbanizzata  è più numerosa di quel a rurale e

sarà del 63% nel 2030 se questa tendenza non verrà modificata. 

Le aree urbane, direttamente e indirettamente, attraverso il consumo di energia, sono la

fonte principale dei gas responsabili del ‘effetto serra.   Paesi come Cina, India, Corea

hanno altissimi tassi di inurbamento; fenomeni come Parigi, Mexico City, Tokyo, Seoul,

Mumbai,   Shanghai,   mostrano   la   crisi   del a  città  di   fondazione,  nata  per  società

stanziali;  mentre   tutto   il   resto   del   territorio   (campagna   o   piccole/medie   città)   viene

svuotato, impoverito. E’ necessario ribaltare questa tendenza. Solo il decentramento di

tutti i servizi, può liberare dall’obbligo del a migrazione verso i poli di attrazione urbana e

dalla disperazione del e periferie, città satelliti, slums .

Ma è pensabile il decentramento attraverso la moltiplicazione delle funzioni

metropolitane?

Lo sviluppo industriale ha separato il tempo di lavoro dal tempo di “vita”.  Il

tempo è diventato l’unità di misura del o scambio, regolatore dei rapporti sociali, oggetto

costante dei nostri pensieri.  Invece di vivere i momenti, gli attimi, noi li contiamo, terrificati

dal loro passare.  Il tempo non è più il “liquido” che contiene la vita, ma l’oggetto del a

nostra ossessione. Il tempo è diventato il nostro pensiero più comune, ci  ossessiona sia

nel a vita quotidiana che rispetto alle fasi del a vita. L’età è diventata una discriminante

esistenziale e sociale.

  Il   tempo   è   la   cosa   più   viva   che   c’è,   è   la   vita;   ma   noi,   quando   lo   percepiamo,   lo 

percepiamo come tempo morto. E in fondo siamo contenti che il tempo muoia. Quel che

ci interessa è là: nella stazione d’arrivo, nel luogo del ‘obiettivo da raggiungere, ecc. Che 

poi questo luogo non esista o sia soltanto il usione o sia vuoto, non fa che aumentare la

nostra insofferenza per il tempo in quanto tempo, ossia per la temporalità vissuta.

E’ una vicenda, questa, che ha radici profonde. Non a caso la modernità sta tutta nel 

segno di una filosofia del a storia che “spazializza” il tempo fino alla sua eliminazione,

almeno tendenziale. Infatti l’accadere e cioè la totalità degli eventi, grandi e piccoli, il loro 

riflesso sulla vita quotidiana, vengono col ocati in un quadro di riferimento che li spiega e 

che dà loro senso, senso ultimo e inoltrepassabile, insomma vengono inseriti in un spazio 

che   li   accoglie   come   tasselli   di   un   mosaico   che   si   offre   a   uno   sguardo   panottico,

intemporale, comunque sottratto al tempo. Così è nel a “Fenomenologia dello Spirito” di

Hegel, che celebra il trionfo del ‘Autocoscienza che abbraccia tutti i tempi in un’unica 

visione, ma così era già nell'”Apocalisse”, che non a caso si chiude con l’affermazione che 

“il tempo non c’è più”.

Perciò il problema ècome ritrovare il tempo perduto?                         E non solo il tempo che 

abbiamo   perduto   avendolo   un   giorno   posseduto,   ma   il   tempo   che   abbiamo   perduto 

essendoci stata tolta la possibilità di possederlo, di possederlo come cosa viva e come 

cosa da vivere. L’idea che il tempo morto, ossia il tempo puramente strumentale, tempo

degli spostamenti ecc., possa tornare nostro ed essere vissuto integralmente risponde a

un’esigenza che si è fatta pressante e irrinunciabile. (Sergio Givone)

Il   movimento   delle   idee,   delle   informazioni,   delle   persone                    è   diventato   parte

integrante   del ’esistenza.  Lo  sviluppo   tecnologico  ha   puntato   sul a  velocità.  Il

viaggiare ha smesso di contenere vita, è diventato  Tempo Morto,  sia se trascorso su

una squallida autostrada sia in treno. In una cultura che punta al prolungamento del a vita

umana attraverso la medicina e la genetica da una parte e dall’altra con la moltiplicazione

del e attività per unità di tempo, questo è un paradosso.  Partire da  Seoul per Busan (o

da Milano per Roma) stando in apnea per 4/5 ore è inaccettabile. Accorciare le distanze,

ha comunque dei limiti, mentre, se diventa tempo di vita, il tempo di spostamento è

zero.

Il   trasporto   oggi   è   principalmente   su   gomma.                Le   autostrade   sono   un   nastro

continuo di merci, persone e servizi,  che              si muove con grande  inefficienza: un

autista, una motrice, spesso un solo passeggero, un enorme dispendio di energie.  Ma

tutto   questo,   costituisce   un  tessuto   connettivo,   ancorché   parziale   e   inefficiente,

indispensabile al territorio.

Lo sviluppo tecnologico occidentale deve sposarsi con la cultura orientale, sostituire la

VITA”  alla  “VELOCITÀ”      e  ricominciare   dalle   sue   basi   e   da   ciò   che   ha   portato   lo

sviluppo sul territorio e ne è ancora fortemente il simbolo: la FERROVIA.

LA CITTA’ IN MOVIMENTO_ LA CITTA’ DEI SEVIZI

Una alternativa soprattutto di metodo. Il parossismo del a velocità, che accartoccia

lo spazio e rende nemiche le distanze (Massimo Cacciari) è senza via d’uscita. Occorre

immaginare un nuovo ordine nel quale il movimento esca dalla dimensione unilaterale

del a crescente velocità e divenga invece modo di un nuovo ordine spaziale nel quale il

territorio, come il tempo,  contenga  vita, vita diffusademocratica, invece                                    di

essere frattura, dicotomia, del  Pieno e del Vuoto.

Una rete “urbana di servizi”:  non più gli utenti verso la metropoli,  ma la città dei

servizi  che  si muove,  incontro agli utenti del e città stanziali, vil aggi, centri agricoli.

Una   “rete”   di   modernità,   di   centralità           che,   accessibile   a   tutti,   renda   il   territorio

democratico.

Una città in movimento, su rotaie, articolata in anel i ferroviari che creano un tessuto

connettivo:      Ministeri,   funzioni   amministrative,   uffici,   spazi   commerciali,   alberghi,

residenze, palestre, servizi medici, ecc., al servizio di tutto il territorio.

A differenza del e città tradizionali, questa è una  città prevalentemente di servizi,

caratterizzata   da   un’utenza   soprattutto   transitoria   e   proveniente   da   ogni   parte   del

territorio, mentre sarà di nicchia la domanda per la residenza fissa e di conseguenza

limitati i servizi e le attrezzature di base.

Si muove in tutto il territorio, quindi facilita lo scambio e promuove la specializzazione

del e funzioni, stimolando la competizione, lo sviluppo e il miglioramento del e identità

locali, permette di svolgere più funzioni in uno spazio delimitato e contemporaneamente

di spostarsi da un luogo all’altro.  Il sistema proposto facilita la sinergia tra settori pubblici

e privati.

Nel   livel o   inferiore   una   metropolitana   leggera   crea   un   col egamento   veloce   lungo   la

stessa   direttrice   su   cui   si   muove   la   città,   mentre   per   il   col egamento   nel a   direzione

opposta basterà scendere, aspettare che passi la “zona desiderata” e risalire.

Uby_city non si ferma mai, è in continuo movimento.  Lo scambio dall’unità mobile

a terra avviene con navette-tender numerose, di facile utilizzo, di basso ingombro e

peso modesto, per facilitare la rapidità, la flessibilità degli accostamenti  e degli scambi

che avvengono alla velocità di crociera.  Il sistema di “ancoraggio in corsa” consentirà

anche il passaggio da un “anel o” all’altro, creando così un sistema unico, una rete. E’

assicurata una viabilità pedonale veloce (tapis roulant) e un sistema di spazi pubblici.

Ritmiche    interruzioni   di  “vuoto”        e   di   verde   potranno   costituire   gli   ammortizzatori

necessari a garantire la sicurezza.

L’organismo è composto da “moduli” lunghi circa un miglio divisi in vari settori come un

convoglio ferroviario;  con  la possibilità di  sostituire  i moduli  e  di  variarne  il tipo e la

funzione con operazioni molto più semplici che demolire e ricostruire un edificio.

Oltre a una tecnologia che utilizzi materiali leggeri e resistenti, strutture scatolari

secondo   le   forme   del ’Ingegneria   aeronautica   e   navale,   questa   macrostruttura

consente di ideare con forza ed efficacia forme di  auto-alimentazione con energie

alternative e di recupero.

La   localizzazione   e’   altrettanto   forte:   le   attuali

autostrade.

La scelta di utilizzare progressivamente e secondo fasi strategiche i nastri autostradali,

garantisce  a   priori   ogni  fattibilità.    I  carichi       indotti   dalla  città   in   movimento  sono

compatibili  con i valori di  tensione ammissibili   per un  tracciato autostradale.

Solo gli attraversamenti, i ponti-viadotti, avrebbero necessità di integrazioni nel a struttura

o modifiche (gallerie) per l’estensione del carico, ma non per la sua intensità. Nessuna

trasformazione (impatto) sul territorio poiché si utilizzerebbero nodi scambiatori e tutte

le reti  già sviluppate.

Il traffico veicolare è così progressivamente confinato e sdrammatizzato.

Il   potenziamento   della   ferrovia   costituirà,   in   una   fase   intermedia,   un

passaggio obbligato, iniziando con il trasferire su rotaie il trasporto merci, ed

introducendo sulle attuali linee attività di servizio, cultura, commercio.

Al a viabilità stradale solo il traffico dei piccoli spostamenti e, in prossimità del e stazioni,

auto/moto elettriche a gestione collettiva.

La  città mobile può servire anche per spostarsi come un normale treno, in cui si può

leggere, dormire, telefonare, lavorare al computer, ma fare anche tutto ciò che è possibile

in una città tradizionale, dotata di attrezzature al più alto livel o:  andare al Ministero,

seguire un corso di formazione, godersi uno spettacolo,  fare shopping,  farsi fare un

massaggio shiatsu, o utilizzare qualsiasi altro tipo di servizio.

Si sta sul a città-treno solo per l’espletamento del a pratica o ci si può fermare a vivere la

“metropoli”.

Abitare sul a città-treno può essere una scelta dettata da esigenze di lavoro o anche da

chi,  più nomade che stanziale,  preferisce vivere in un organismo che offre ad ogni

sguardo un panorama diverso, un incontro diverso.

Stazioni     numerose   e   ravvicinate:  il   sistema   ad   accostamento   infatti   elimina   la

necessità di fermare la città-treno, che costituisce un sistema che si innerva, come un

organismo tentacolare,  con le attrezzature a terra e con tutte le specifiche funzioni

presenti nel e città e su tutto il territorio.

Muovendo i servizi sul territorio ogni città potrà diventare “Centro”, in una

concezione pluralistica della centralità “dove tutto accade”. 

Novità e rivoluzioni di tendenza così radicali potrebbero venire dalla giovinezza del e

strutture economiche e dalle caratteristiche filosofico/culturali del e  aree di sviluppo

asiatiche.

Immaginiamola in Corea. Utilizziamo circa un quarto del a attuale rete autostradale,

un anello di 800 Km; riconvertiamola a sede su cui scorre, a una velocità media di 100

Km/ora, la città-treno.

 Il percorso proposto potrebbe in una fase successiva essere variato per esempio in due

anel i che si intersecano in corrispondenza di Daejeon, e ridurre così anche la velocità di

percorrenza aumentando il territorio servito.

Se   la   velocità   è   di   100   km   l’ora   e   l’anello   lungo   800km,  ogni   singola   parte

passerebbe  ogni otto ore, tre volte al giorno, da  tutte le città coreane lungo l’anel o

(Seoul,   Incheon,   Ansan,   Song-tan,   Cheonan,   Cheongju,   Daejeon,   Nonsan,   Cheonju,

Gwangju,   Suncheon,   Jinju,   Masan,   Busan,   Miryang,   GyeongSan,   Daegu,   Andong,

Yeongju, Jecheon, Wonju, Icheon, Hanam, Guri) e da  tutto il territorio intermedio.

Sarà   quindi   possibile  lavorare   sulla   città   mobile   e   vivere   a   Seoul,   Incheon,

Ansan,   Son-tan…e   viceversa.  Ogni  città  potrà,   quindi,   conquistare   l’agognata

vivibilità  e   specializzarsi   in   un   determinato   settore   utilizzando   quel o   che   non   ha

servendosi del a città-treno.

CONSIDERAZIONI ECONOMICHE

Nell’ambito   di   un’analisi   preliminare,   una   serie   storica   di   dati   statistici   ci   permette   di 

avanzare delle ipotesi su quelle che potrebbero essere le scelte dei lavoratori coreani su 

come allocare il “tempo di vita” recuperato in presenza di una significativa riduzione del 

commuting  time, rispetto al   trade   off  “reddito /  tempo  libero”. Ricorrendo ai   postulati

dell’economia   ortodossa   si   possono   formulare   prime   stime   sul   “valore”   attribuibile   al

tempo libero, basandoci sul livello attuale dei redditi medi da lavoro in Corea.

 Le ore lavorate “di fatto” settimanalmente in Corea sono 47 in media per ogni lavoratore, 

per un totale di 2447 l’anno: esse sono molte più dei “valori di riferimento” (40) ma molte 

meno di quelle permesse per legge (56). L’elevata quantità di ore lavorate è senz’altro 

indice di una preferenza per il reddito, ma questo dato può essere anche (fortemente) 

influenzato da pressioni morali, dal forte ventaglio salariale tra chi fa carriera e chi non la 

fa,  dalla  bassa  paga   oraria,   etc.   Il   fatto  che   in  tre   anni   le   ore   lavorate   di   fatto   siano 

diminuite di oltre il 3% con salari crescenti starebbe a dimostrare che, in un quadro di 

produttività del lavoro crescente, i lavoratori coreani, attraverso forti lotte sindacali, hanno 

ottenuto il riconoscimento di tali aumenti di produttività e che tali riconoscimenti sono stati 

tradotti   sia   in   consistenti   aumenti   del   salario   orario   (dal   1998   al   2004   il   guadagno 

giornaliero di un operaio è passato da 11,880 won a 20,080 won) sia in aumenti del tempo 

libero contrariamente a quanto previsto dalla teoria economica ortodossa, che prevede un 

aumento del ’offerta delle ore di lavoro in presenza di aumenti della paga oraria. Tutto ciò 

può far ipotizzare che una suddivisione tra più tempo libero e più tempo di lavoro (e 

dunque più salario) sarebbe l’obiettivo che i lavoratori si proporrebbero in presenza della

liberazione da una parte del commuting time. Statisticamente, solo il secondo aspetto

sarebbe registrato, mentre il tempo libero risulterebbe addirittura diminuito. Ma, di fatto,

così non sarebbe perché, rispetto al a “way of life”, anche il tempo libero aumenterebbe, 

in quanto il commuting time, se non può essere definito tempo di lavoro, certo non è 

percepito come tempo libero.

In Corea il lavoro dipendente occupa quasi 15 milioni di persone, pari ai 2/3 

del   totale   dei   lavoratori   coreani   occupati   (22,27   milioni)  mentre   i   lavoratori

autonomi sono oltre 7 milioni. I dati più recenti   collocano il PIL coreano a circa 1000 

miliardi di dollari USA, il che pone la Corea al 14° posto nel mondo. Secondo i dati in

nostro possesso, le ore destinate al commuing, per l’intera collettività coreana, sono pari a

circa 10.500 milioni annui: ciò porta a un valore medio di 470 ore annue per ciascun

lavoratore.  Essendo  il  monte-ore  lavorato  in  Corea  pari   a  54,5  miliardi   di  ore,  si  può

concludere   che,   mediamente,  un’ora   di   lavoro  produca   un   valore   aggiunto   pari   a

$18,35.  Se ipotizziamo che i valori marginali non si discostino troppo da quelli medi,

possiamo attribuire questo valore (all’incirca) a ciascuna ora di tempo libero. Pertanto il

benessere,   espresso   in   valore   monetario,   che   va   perduto   ogni   anno   in

commuting time è pari a 193 miliardi di dollari, e cioè quasi 1/5 del PIL.

Le seguenti semplici equazioni possono essere utilizzate per quantificare, rispettivamente,

le variazioni in termini di benessere e di crescita economica che si avrebbero riducendo il 

commuting time.

1) t.w.L = b

2) j.t.w.L = y 

Nella (1) t rappresenta in numero di ore di commuting mediamente risparmiato da ciascun

lavoratore nell’arco di tempo considerato (un anno); w rappresenta la retribuzione media; 

L rappresenta il numero dei lavoratori; b rappresenta l’aumento del benessere generale. 

Nella (2) j rappresenta quale quota del tempo risparmiato sarebbe mediamente dedicato a 

un aumento del ’offerta di lavoro e y rappresenta l’aumento del PIL. 

 Ora possiamo esercitarci in una prima simulazione. Poniamo che metà dei lavoratori sia

coinvolto nel cambiamento e risparmi metà del tempo di trasporto (ovviamente queste 

quote possono essere modificate a piacere, in assenza di informazioni attinte direttamente

dagli   interessati).     Allora   –   inserendo   questi   dati   nell’equazione   (1)   –   si   avrebbe   che 

l’incremento netto del benessere nazionale, espresso in US$,  sarebbe pari a

oltre 48 miliardi, equivalente al 4,8% del PIL, cioè un anno secco di crescita “a ritmi 

coreani”. Se tale tempo liberato fosse diviso in parti uguali tra tempo di lavoro e tempo 

libero, i cittadini coreani, nel ’insieme, avrebbero un aumento del 2,4% del reddito (si

veda l’equazione  2) e una  disponibilità di 120 ore annue aggiuntive di tempo

libero pro capite. Ovviamente, anche parte del a popolazione non compresa nella forza 

lavoro   potrebbe   risparmiare   tempo   negli   spostamenti,   ma   ciò   non   è   passibile   di

misurazione economica.

Per passare da simulazioni e congetture a scenari più affidabili, lo strumento più idoneo è

quello fornito da una coppia di questionari tra loro col egati. Il primo da distribuirsi a un

campione   della   popolazione   coreana,   rappresentativo   in   termini   di   età,   genere, 

distribuzione territoriale e tipo di attività.  La domande riguarderebbero gli attuali tempi di 

spostamento e come, in seguito a una loro riduzione (mezz’ora, un’ora, un’ora e mezza, 

due ore al giorno, ma anche 4 o 8 ore una o due volte la settimana concentrate in un 

giorno solo, etc.), ciascuno pensa di suddividere il maggior “tempo di vita” tra maggiore 

offerta di lavoro al fine di aumentare il proprio reddito, e più tempo libero, indicando come 

lo suddividerebbe tra le diverse attività (compresa l’inattività). Un secondo questionario –

basato sui risultati del primo – dovrà essere distribuito a un campione di imprenditori, al

fine di conoscere se e come modificherebbero la loro domanda di lavoro in presenza di 

un aumento del ’offerta. Agli imprenditori che agiscono nel settore che produce servizi per 

il tempo libero, sarà chiesto come reagirebbero a un aumento sia dell’offerta di lavoro, sia 

della domanda dei loro prodotti. 

Inserendo nel e due equazioni di cui sopra l’elaborazione statistica dei dati risultanti da

entrambi   i   questionari,   si   potranno   formulare   alcune   ipotesi   affidabili   sulle   variazioni

dell’offerta aggregata e della domanda e dell’offerta dei servizi collegati al tempo libero, 

dovute   alla   riduzione   del   commuting   time.   E,   inoltre,   sull’incremento   del   benessere

collettivo per il popolo coreano. (Francesco Scacciati).

Solo     utopia?  O   addirittura  follia?  Noi   troviamo   fol e   pensare   di   continuare   a

cementificare il Pianeta ed  inconcepibile costruire città nuove, senza storia, ma basate su

una concezione antica  del a vita  e dei bisogni di un uomo stanziale che non esiste

più.

Abbiamo   bisogno   di   “ordini”,   ma   la   cui   virtù   consista   proprio   nella

modificabilità   e   nella   adattabilità.   Abbiamo   bisogno   di   “ordini”   capaci   di

generare eresie. (Massimo Cacciari).